Outbrain nasce 10 anni fa, abbiamo appena festeggiato il nostro decimo compleanno, negli Stati Uniti, con l’obbiettivo di aiutare gli utenti, i lettori online, a trovare i contenuti più interessanti per loro. Attraverso una piattaforma che mette in contatto i contenuti, i lettori e gli editori. Noi facciamo quello che abbiamo ribattezzato content discovery. In Italia siamo operativi dal 2012, 4 anni fa abbiamo aperto la prima sede italiana, seguendo un percorso di roll-out che dagli Stati Uniti ci ha portato in Europa, in UK come primo mercato, per l’affinità con la lingua inglese.
Poi abbiamo continuato con le altre lingue e sono state aperte altre sedi in Francia, in Spagna, in Italia e in Germania. Le lingue sono importanti quando si lavora sui contenuti, le piattaforme e gli algoritmi lavorano proprio sul tipo di contenuto e sull’interesse e le lingue vanno implementate. Oggi siamo operativi in 15 mercati in tutto il mondo, arriviamo in Australia, Nuova Zelanda, India, Giappone, Brasile.
Come spieghi di solito le dinamiche del servizio di Outbrain a chi è lontano dal mondo del Digital Marketing?
Molti utenti, anche se non lo sanno, ci hanno visto. Noi siamo presenti su tutti i principali editori online, italiani e internazionali. Per esempio Corriere e Gazzetta, penso che quasi tutti, almeno una volta abbiano visitato uno di questi siti. Quando visiti un articolo di Corriere.it, al termine dell’articolo trovi uno spazio che ti dice “ti potrebbe interessare anche“, dove ti vengono suggeriti dei contenuti.
Questi sono contenuti personalizzati per te. Vedrai dei contenuti che saranno diversi da quelli che vedranno altre persone sulla stesso articolo, sulla base di una serie di informazioni che sono la tua storia di navigazione, i tuoi interessi, che cosa hai cliccato, che cosa hai visto su questo sito e sugli altri. In pratica aiutiamo Corriere e altri editori top come Mondadori, Banzai, Rcs, Sky, a selezionare i loro contenuti, le loro storie più interessanti per ogni singolo lettore, personalizzando l’esperienza di navigazione.
Questo consente al lettore di seguire un percorso su misura. Esempio: sto leggendo un articolo dell’ultimo minuto su un fatto di cronaca e poi scopro che si parla di tecnologia, si parla di scienza, di cultura, tutti argomenti che interessano a me e non sono necessariamente quelli che la redazione ha preconfezionato per me.
Oltre a questo aspetto di esplorazione dei contenuti offerti dall’editore, esiste un aspetto di monetizzazione: alcuni di questi contenuti sono sponsorizzati da nostri clienti che hanno scelto di essere presenti su queste pagine, pagano a noi una quota e una parte di questo pricing va all’editore che ci ospita ovviamente, il modello si sostiene in questo modo. É un modello pubblicitario, con la differenza che stiamo parlando sempre di contenuti. Quindi anche quando un’azienda vuole comunicare, avendo una posizione editoriale all’interno di un sito, dovrà farlo raccontando una storia. Entriamo così nel mondo del Content Marketing.
Per fare un esempio concreto: quando Coca Cola comunica attraverso di noi, non lo fa con lo spot tradizionale che si vede in tv, ma lo fa raccontando ad esempio la storia della sua bottiglia di vetro o raccontando qual è la ricetta della felicità secondo Coca Cola, e così via con articoli, con video, con contenuti che abbiano le caratteristiche dei contenuti editoriali e come tali sono ospitati nelle pagine dei grossi editori che citavo prima.
In molti conoscono il servizio di Google Adwords, quali sono le differenze sostanziali con Outbrain?
Si differenzia per due aspetti, sicuramente uno quello dei contenuti, il nostro focus è quello della content discovery. Ma c’è un altro aspetto fondamentale: il modello della ricerca di Google si rivolge a un pubblico che indicativamente ha già in testa che cosa sta cercando, sa che cosa vuole e l’advertiser dà la risposta a un bisogno che già esiste. Parlando di discovery, noi ci posizioniamo in un momento diverso nell’esperienza utente. L’utente non sa ancora di che cosa ha bisogno esattamente.
Esempio: parliamo di vacanze, chi ha deciso di andare in montagna in una precisa località, cercherà su Google gli hotel e le offerte per quella località. Chi non ha ancora deciso e sta navigando sul sito di una testata qualsiasi, scopre una storia delle mete migliori in Valtellina, ad esempio e potrebbe essere molto interessato. Quindi andiamo a suscitare un bisogno su un utente che ancora non sa di avere questo bisogno, o forse ha un’idea, ma non ha ancora deciso. La search di Google è per chi sa già qual è il suo bisogno, la discovery è per chi è in una fase ancora decisionale.
Esiste un cliente tipo per Outbrain oppure è un servizio che si adatta sia per piccole che per grandi realtà?
Si adatta ad entrambe, diciamo che poi cambiano i modelli di servizio. Per le grandi realtà esiste il nostro team direttamente, ci sono i nostri account manager che guidano il cliente in tutto il processo: la scelta dei contenuti, l’amplificazione degli stessi sul network, la veicolazione migliore di questi contenuti, l’analisi dei risultati.
Per i piccoli clienti esiste la modalità in cui il cliente va direttamente sulla nostra piattaforma, Outbrain.com, imposta i suoi obbiettivi, inserisce i dati di una carta di credito e può fare delle piccolissime campagne direttamente. Il livello di analisi che possiamo offrire per i grandi clienti è più raffinato, però abbiamo tantissimi piccoli clienti che hanno iniziato così, testando la piattaforma direttamente e poi ci hanno chiamato per passare a modelli più grossi.
Dove possiamo vedere all’opera Outbrain, alcuni nomi italiani li hai citati prima, qualche nome all’estero?
Ci potete vedete su tutte le più grosse testate internazionali: da Cnn a Fox, Le Figaro e Le Monde in Francia, El Paìs in Spagna, Bild in Germania. Noi oggi tocchiamo ogni mese oltre mezzo miliardo di utenti unici, sono veramente tantissime le testate, tutti editori Premium, che lavorano con noi.
Oggi si parla molto di Native Advertising, credi sia un fenomeno destinato a crescere e occupare una fetta sempre più grande nel marketing online?
Con il termine native oggi si tende a raggruppare tante cose diverse. Noi consideriamo il native nella sua definizione originale, cioè l’advertising che rispetta l’aspetto e la funzione del contesto che la ospita. Il native di cui ci occupiamo noi è quello di un contesto editoriale, con il suo layout, ed ha anche la funzione di un contenuto.
Il native funziona bene perché oggi la comunicazione tradizionale, display, ha dei limiti: gli utenti la ignorano, c’é un eccessivo sovraffollamento, ci sono gli AdBlock, tutti fenomeni legati fra loro. La comunicazione native è diversa, in termini tecnici viene definita “pull”. Anziché spingerti la comunicazione (push) con un messaggio che ti butto in faccia e tu, volente o nolente, lo ricevi, la comunicazione native è pull, molto meno invasiva e più discreta.
Io sono un brand, sono Coca Cola e voglio raccontarti la storia della mia bottiglia di vetro. Alcuni saranno incuriositi da questa mia comunicazione, faranno click e andranno a leggersi la storia e questi sono i consumatori con cui io ho più voglia di parlare. Quelli che non sono interessati e non cliccheranno, non saranno disturbati.
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Come ci hai appena raccontato la piattaforma di Outbrain è direttamente legata alla produzione di contenuti. Hai visto cambiare qualcosa nelle aziende in merito alla produzione di contenuti nell’ultimo periodo?
Le aziende hanno capito che i contenuti sono importanti, c’è chi è più avanti e chi meno, però sostanzialmente tutte le aziende si stanno attrezzando per avere una strategia di content marketing. alcune, le aziende più grosse, lo stanno facendo in casa.
La maggior parte delle aziende si affida ancora agli editori, ed è un’ottima scelta secondo me. Gli stessi editori, in un periodo di sofferenza per la crisi del mercato pubblicitario, hanno avviato una nuova linea di business, quella della produzione di contenuti per le aziende come la creazione di progetti speciali, branded content, storytelling, tutti filoni che riconducono all’idea che ci sia un editore che mette la sua capacità e la sua competenza al servizio di un brand che ha delle storie di valore da raccontare, ma che devono essere raccontate nel modo giusto.
Esistono poi dei casi eccellenti di brand come Red Bull per esempio che sono diventate delle vere e proprie media company. Red Bull è un produttore di contenuti di livello pari o addirittura superiore a molti editori.
Quali sono a tuo avviso le competenze attualmente più richieste nel marketing digitale e quali saranno quelle dei prossimi anni?
É un mercato in così veloce evoluzione che forse, l’unica competenza valida per più anni è quella della flessibilità, della velocità ad imparare. Per una persona che si avvicina a questo mercato, che vuole essere presente e seguire l’evoluzione, essere sempre aggiornato sulle novità, conoscere formati, tecnologie, piattaforme, è assolutamente cruciale. Il mercato cambia in maniera velocissima e bisogna aggiornarsi costantemente. Per chi ha voglia, è un mercato straordinario, c’è sempre qualcosa di nuovo.